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I King Crimson alla Fenice

Di Giorgio Langella Martedi 31 Luglio 2018 alle 11:23 | 0 commenti

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Ho visto una luce ed era rossa cremisi. Sabato 28 luglio 2018. Il contesto è meraviglioso. Siamo al teatro la Fenice di Venezia. Alle 21 in punto entrano i King Crimson. Otto musicisti che hanno fatto la storia della musica. Quasi 50 anni fa esordirono con “In the Court of the Crimson King”, un album stupefacente. A vederli oggi, dopo innumerevoli cambi di formazione, ci si accorge che il tempo è passato. I signori dimostrano l'età, i capelli bianchi, la calvizie, il fisico non è più quello di una volta. 

Salutano il pubblico. Sul palco, in primo piano, tre batterie. In seconda fila gli altri strumenti. Robert Fripp, il fondatore del gruppo, il musicista da sempre anima della “band”, si siede quasi in disparte. In fondo a destra per chi guarda. Imbraccia la chitarra. Gilet nero e camicia bianca. Elegante e flemmatico.

king crimson alla FenicePoi iniziano i tamburi ed è un'esplosione. Un ritmo tribale incalza gli spettatori. I tre musicisti percuotono le pelli. Le tre batterie si parlano, si ascoltano, “urlano” all'unisono. Un muro si suoni e sensazioni investe e stupisce chi ascolta. Dopo qualche minuto il resto degli strumenti e si inserisce la chitarra di quell'uomo in disparte. Impressionante. La chitarra ruggisce, sembra emettere suoni impossibili. Melodie assurde, ipnotiche. Assoli esaltanti. Rumore che diventa suono ora rabbioso ora celestiale.

I King Crimson sono al loro meglio ed è un susseguirsi di suoni, visioni, paura e dolcezza. Senza mai fermare la loro musica gli otto signori ripercorrono la storia di un complesso che è stato fondamentale nella storia del rock e non solo. Un misto di musica tribale, classica d'avanguardia, jazz, blues stravagante, rock colto e allo stesso tempo popolare e duro invade il teatro.

I suoni rimbalzano tra gli stucchi, i legni, i lampadari barocchi della Fenice. Ci si accorge che nulla è stonato ma tutto si integra perfettamente. I “vecchietti” vanno avanti per un'ora e venti. Senza parlare. O, meglio, facendo parlare i loro strumenti e la loro passione. Quella passione che sembra inalterata rispetto a quella di decenni fa. Il primo tempo si chiude tra le ovazioni del pubblico.

Una pausa di 20 minuti e, quindi, si ritorna a fare musica.

Tutti, musicisti e pubblico, in una simbiosi straordinaria. Chi ascolta vede la musica e i colori che quegli “anziani giovani” vogliono (e sanno) esprimere. Tutti si sentono e sono protagonisti di una grande serata. E si va avanti tra brani ormai antichi e ritmi, allo stesso tempo, modernissimi e ancestrali.

Dopo un'altra ora e più di meraviglia, Robert Fripp inizia a cesellare con la chitarra le note di “Starless”. Un brano che passa dalla tranquilla malinconia alla passione e alla durezza. La luce nel palco diventa sempre più rossa. Il “re cremisi” sembra vivere in un inferno che stupisce senza terrorizzare. Così il concerto sembra finire con quel lungo brano.

I musicisti escono per qualche breve minuti ma, si sa, ci vuole un bis.

Il finale è travolgente. Fripp e compagni iniziano la loro prima canzone. Quel brano che apriva non solo il loro primo album pubblicato nel 1969 ma, soprattutto, le menti di chi lo ascoltava. Così la bellezza, la violenza e lo stupore di “21st century schizoid man” invade il teatro. Un tripudio di suoni, percussioni, chitarre, fiati, tastiere … una specie di marcia violenta nella quale una voce distorta declama versi di condanna di una società che si sta distruggendo nella paranoia, nella guerra (quando il brano fu scritto era quella del Vietnam), nel consumismo:

Zampa di gatto, artiglio di ferro

neurochirurghi urlano a lungo

alla porta velenosa della paranoia.

Uomo schizoide del ventunesimo secolo.

Sangue tortura filo spinato

rogo funebre di politicanti

innocenti violentati dal fuoco del napalm.

Uomo schizoide del ventunesimo secolo.

Seme di morto, cupidigia del cieco

affamati figli di poeti sanguinano

nulla di ciò che ha gli serve realmente.

Uomo schizoide del ventunesimo secolo.

Signori! I King Crimson sono là, davanti a noi e non si sono imborghesiti. Si, forse l'aspetto è quello di signori di una certa età. Robert Fripp ha l'aspetto di un professore universitario (è così da tantissimi anno, del resto). Ma l'anima e la passione è quella di chi era giovane alla fine degli anni sessanta e nei settanta. E i suoni sono quelli di una ribellione politica e culturale che, per chi l'ha vissuta, è da ricordare con rabbia e un pizzico di nostalgia (soprattutto guardando quello che succede oggi). Nella musica dei King Crimson, però, non c'è nostalgia. La loro musica era all'avanguardia mezzo secolo fa e lo è ancora oggi. Ed è bello constatare che nessuna ruggine ha intaccato la gioia di fare musica di Robert Fripp e compagni.

King Crimson alla Fenice. Hanno suonato: Pat Mastelotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey (batteria e percussioni); Mel Collins (sassofoni e flauto); Tony Levin (basso); Bill Rieflin (tastiere); Jakko Jakszyk (chitarra e voce); Robert Fripp (chitarra e tastiere).

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