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Un'analisi dei dati sulla situazione del lavoro tornata al 1977

Di Citizen Writers Venerdi 10 Gennaio 2014 alle 14:47 | 0 commenti

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Riceviamo da Giorgio Langella e pubblichiamo - A novembre 2013, il tasso di disoccupazione è al 12,7%, pari a 3.254.000 persone, con un aumento di 57.000 unità rispetto al mese precedente e di 351.000 unità in un anno. Basterebbero questi pochi numeri a spiegarci quale sia la vera emergenza del nostro paese. Il lavoro, anzi, la sua mancanza.

Il lavoro è stato umiliato, delocalizzato, cancellato, trasformato in rendita finanziaria da una classe dirigente imprenditoriale palesemente inadeguata che ha privilegiato unicamente i propri interessi personali. I governi liberisti che si sono succeduti in questi ultimi anni sono stati alla finestra. Non solo, hanno appoggiato e incentivato l'opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori, hanno elargito benefici a quegli imprenditori di “riferimento” (ricordiamo i famigerati “capitani coraggiosi” dell'Alitalia), hanno permesso corruzione e ruberie di ogni sorta, hanno privatizzato senza alcun criterio, hanno “liberalizzato” il mercato del lavoro con leggi che permettono maggiore facilità di licenziamento e minori diritti per chi lavora o chi entra nel mondo del lavoro, hanno fato della precarietà la forma normale di lavoro, hanno aumentato l'età pensionabile creando un mondo del lavoro sempre più vecchio e stanco e ostacolando, di fatto, la possibilità di accesso al lavoro per i giovani. Il risultato lo si vede dai numeri della disoccupazione evidenziati sopra e dal tasso di disoccupazione giovanile (età compresa tra i 15 e i 24 anni) che ha raggiunto la drammatica percentuale del 41,6%. Diciamolo chiaramente, in Italia hanno smantellato il sistema produttivo, non si trova lavoro e il futuro non promette nulla di buono.

Altri dati confermano questa situazione. Nel 2013 le ore autorizzate di cassa integrazione sono più di un miliardo. Poco più di un punto percentuale meno dell'anno precedente. Un dato positivo finalmente? No, perché il calo è dovuto solo al calo del ricorso alla cassa integrazione in deroga. Le ore di cassa integrazione ordinaria e, soprattutto, quelle di straordinaria (che è l'anticamera dei licenziamenti), invece, sono aumentate, su base annua, rispettivamente del 2,37% e del 14,64%.

Gli ultimi dati INPS, poi, continuano a evidenziare la tragica crisi del mondo del lavoro. Le domande di disoccupazione tra gennaio e novembre 2013, infatti, sono aumentate del 32,5% (che vuole dire che 1.949.570 di cittadini sono coinvolti).

In pratica, dal 1977, non c'è mai stata tanta disoccupazione. E, quello che è più grave, non esiste alcuna prospettiva di miglioramento.

È una situazione disastrosa. Parlamento e governo dovrebbero lavorare a tempo pieno sul problema lavoro. Dovrebbero pensare a come dare lavoro ai giovani e ai meno giovani. Dovrebbero riflettere che le cosiddette “riforme Fornero” (quella delle pensioni e quella del mercato del lavoro) sono state, oltre che inique, un vero e proprio fallimento.

Ma come si può, in una situazione come l'attuale, pensare di far lavorare più a lungo persone sempre più anziane perché si sposta sempre più in là l'età pensionabile? Come si può pensare a una ripresa del lavoro quando i lavoratori sono sempre più vecchi, sfiduciati, impoveriti da salari che sono diventati sempre più simili a elemosine? Non si dovrebbe, forse, riconsiderare il ruolo dello Stato nell'industria e nella produzione (almeno nei settori strategici), invece di continuare con privatizzazioni che si sono dimostrate e si dimostrano un tragico fallimento per l'economia del paese? Come si possono escludere tasse sulle grandi ricchezze che permettano di ricavare gli investimenti necessari non per fare elargizioni agli imprenditori “più affini” ma per rilanciare ricerca, sviluppo, scuola e quanto necessario a creare lavoro non precario ma stabile e sicuro? E se si può produrre in minor tempo, perché non si possono diminuire le ore di lavoro?

Domande che dovrebbero avere rapida risposta dagli “esperti” che sono al governo o che siedono in parlamento. E, invece … sono continue scaramucce su qualsiasi cosa. Si parla d'altro. Ci sono “grandi manovre” per le prossime elezioni. Si pensa alla depenalizzazione delle droghe leggere (cosa importante, per carità, ma che dovrebbe essere risolta senza perdere tempo). Si fanno annunci di “strabilianti” proposte sul lavoro e si enunciano titoli senza dire come e dove saranno trovate le risorse o quali saranno i veri contenuti. Sono proposte molto simili a slogan che, nella mente del nuovo segretario del PD, daranno origine a un piano che sarà (forse) pronto “tra poco” (e si parla di otto mesi). Un piano che ha, “naturalmente”, un nome inglese (“jobs act”), forse perché così è più bello, fa “tendenza” … ci fa sentire “più internazionali”. Ma è propaganda e nulla più. Di concreto c'è la disoccupazione, il crescente impoverimento di chi vive del proprio lavoro, dei pensionati, di chi ha perso il lavoro. Di concreto c'è l'assenza di una politica ridotta ormai a servire le decisioni prese in altri luoghi. Di concreto c'è la devastazione industriale e produttiva del paese dovuta al trasferimento degli investimenti dal lavoro ai giochi finanziari (più o meno leciti). Di concreto c'è l'inconsistenza dell'imprenditoria nostrana e la voracità di chi pensa solo al proprio profitto personale.

Siamo vicini al punto di non ritorno. È necessario che ci sia una sinistra forte, unitaria, che sappia proporre e fare una Politica (quella vera con la P maiuscola) alternativa a quella che ci vuole imporre l'oligarchia che oggi comanda il paese. È necessario alzare la testa e, senza autocensure né altro, lottare per un progetto che ridia speranza a una nazione sempre più disperata e rassegnata.

Leggi tutti gli articoli su: Lavoro, disoccupazione, Giorgio Langella

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