Filippo Crimì e Giovanni Cunico rispondono a Renzo Rosso: ti capiamo
Sabato 20 Luglio 2013 alle 14:41 | 0 commenti
Caro Renzo, abbiamo deciso di scriverti dopo aver letto sul Giornale di Vicenza di giovedì scorso la tua risposta a due autorevoli esponenti del Partito Democratico, formazione politica a cui noi apparteniamo. Quello che ci ha più colpito nelle tue parole è stata l'esigenza di "facce nuove" nelle istituzioni, per trovare un nuovo dialogo basato su concretezza e innovazione nel fare politica. Non possiamo che condividere il tuo sentimento.
Affrontare la crisi economica significa anche avere il coraggio di uscire dagli schemi tradizionali e saper cogliere l'occasione per scoprire nuovi campi di azione e di invenzione, ed è per questo che la critica alla politica industriale italiana che tu hai fatto, deve essere interpretata dai politici come uno stimolo e non può essere semplicemente causa di sterile polemica.
Comprendiamo appieno il bisogno, tuo e del mondo imprenditoriale che rappresenti, di un interlocutore istituzionale credibile per competenza e visione rivolta al futuro, un'esigenza imprescindibile per uscire dal blocco che opprime il sistema socio-economico italiano.
Purtroppo la crisi globale dei mercati non riguarda solo il singolo imprenditore, ma è una battaglia tra economie nazionali; battaglia che in Italia sembra abbiamo rinunciato a combattere, non pensando al fatto che lo sviluppo dell'industria necessita della collaborazione strategica tra istituzioni pubbliche e privato.
Tutte le maggiori nazioni occidentali hanno individuato i settori principali da difendere e lo fanno con assoluta fermezza intervenendo a sostegno delle loro industrie, anche nelle espansioni all'estero.
Negli ultimi anni l'Italia ha perso circa un quinto della propria produzione e sono in crisi i compartimenti legati all'auto, alla siderurgia, all'alluminio, alla meccanica e al tessile, nel disinteresse della politica italiana per la salvaguardia della nostra struttura produttiva.
Disinteresse che ha aperto la strada alle acquisizioni straniere, ed evidentemente alla messa in vendita di alcuni dei nostri migliori marchi.
In realtà crediamo che i motivi della messa in vendita di un'azienda siano molteplici e complessi a partire dalla crisi del sistema societario per arrivare alla mancanza di credito, servizi e infrastrutture, ma soprattutto all'abbandono da parte dello Stato che attraverso le sue istituzioni si presenta più come un nemico che come collaboratore attivo nella ricerca di una soluzione positiva.
Viviamo quotidianamente le difficoltà di un sistema socioeconomico chiuso in sè stesso, limitato da blocchi di potere e rendite di posizione.
Facciamo fatica a comprendere chi invita te e altri imprenditori a "fare di più". Ma non dovrebbe "fare di più" la politica? Fare di più per detassare il lavoro e semplificarne la legislazione. Fare di più per incentivare le imprese ad assumere velocemente e con semplicità i giovani. Porre fine ai ritardi della burocrazia per chi vuole fare impresa. Fare di più per sostenere il Made in Italy all'estero. Come l'imprenditore oggi è costretto, per non soccombere alla crisi, ad affrontare la sfida dell'innovazione, così la politica non può sottrarsi alla sfida del cambiamento: la crisi deve diventare per tutti l'opportunità di condividere nuove strade per un nuovo sviluppo socio-economico.
Se oggi si parla di nuova rivoluzione industriale, dove le piccole aziende saranno una fonte di crescita nell'immediato futuro, l'Italia come patria delle piccole aziende manifatturiere non può rimanere alla finestra, ma deve individuare i campi dove cominciare al più presto ad innovare per eccellere a livello mondiale.
Bisogna incentivare le imprese italiane a tornare a produrre in Italia con misure idonee per evitare che le industrie nazionali si trasferiscano in Paesi dove la manodopera è a basso costo, togliendo quindi il lavoro agli italiani.
In conclusione lo sforzo dei singoli imprenditori non è sufficiente; è l'intero sistema Italia che deve assumersi la responsabilità della transizione verso un nuovo modello economico, con una politica industriale che sostenga e incentivi la produzione, l'occupazione e l'economia con detassazioni e contributi, servizi di sostegno e di tutela, con interventi nel campo dell'istruzione per una formazione professionale adeguata.
Non si può pensare di tornare ad essere realmente competitivi come sistema Paese senza una politica forte, credibile e riconosciuta dal mondo imprenditoriale: per noi è questa la premessa per il "fare squadra".
Filippo Crimì e Giovanni Cunico
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