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Jefferson e Palladio. Una mostra sul perché la ricerca del bello abbia formato (e riformerà) il mondo moderno.

Di Nicola Tonello Mercoledi 23 Settembre 2015 alle 23:38 | 0 commenti

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Si  è tenuta questa sera, mercoledì 23 settembre, dalle 18 a Palazzo Barbaran Da Porto, sede del Centro Internazionale Studi Architettura Andrea Palladio e Palladio Museum, l’inaugurazione dell’attesissima mostra “Jefferson e Palladio – Come costruire un nuovo mondo”. La presentazione con l’intervento di diverse autorità governative e scientifiche è stata seguita da qualche centinaio di persone in videoconferenza nelle salette adibite al pianterreno di Palazzo Barbaran.

Sicuramente gli interventi più attesi sono stati quelli dell’ambasciatore americano John R. Phillips, alla sua terza visita nella città berica, e del prof. Howard Burns, presidente del consiglio scientifico del CISA che hanno descritto come la figura di Thomas Jefferson, attraverso il palladianesimo, sia stato il trait d’union per il concepimento e la realizzazione di forme non solo architettoniche, ma anche di una società nuova  per quel paese appena nato che prendeva il nome di Stati Uniti d’America. Sempre durante la conferenza di presentazione c’è stato spazio per i contributi del sindaco Variati, del Presidente della Fiera Matteo Marzotto, di Andrea Meloni – direttore generale per la Promozione del Sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri - , del Presidente del CISA Lino Dainese, del main sponsor Roberto Coin e dell’assessore alla cultura della Regione Veneto Cristiano Corazzin. Il motivo per la quale si è dimostrato così importante far conoscere agli italiani e, perché no, pure alla comunità americana domiciliata a Vicenza, va ricercato, in primis, nell’immensa riconoscenza che tutto l’apparato governativo statunitense ha dato ad Andrea Palladio. Nel dicembre 2010 infatti il Congresso degli Stati Uniti d’America ha decretato la profonda influenza dell’architettura palladiana nella costruzione del Paese. Inoltre, come afferma Lino Dainese, l’obiettivo a lungo termine dovrebbe manifestarsi nel senso più ampio, con le mostre che verranno anche grazie a questa istituzione, con la trasformazione dell’indiscussa ricchezza culturale del nostro territorio in ricchezza economica. “Un ponte tra Italia e Stati Uniti che coniughi visione del futuro e cultura, bellezza ed imprenditoria”.

Ma poi, alla fine, questa mostra com’è? Dopo l’ingresso a singhiozzo dovuto alla numerosissima calca dei personaggi annessi e connessi al gotha cittadino accorsi con piacere nella “cattedrale della memoria palladiana” – come ama definire il Palladio Museum il nostro primo cittadino – ci si fa largo nelle prime stanze adibite all’esposizione permanente fino ad immergerci finalmente nel contenitore Jefferson-palladiano. Con una sorta di camera oscura ci accolgono i due busti in gesso dei protagonisti, del terzo presidente degli Stati Uniti e di Andrea della Gondola. Riflettendosi l’uno con l’altro fanno intendere come le forme e le idee nel corso dei duecento anni intercorsi tra i due abbiano unito in un estetico linguaggio universale il significato di bellezza e funzionalità architettonica. Tra i meravigliosi modellini curati dal direttore Guido Beltramini si apprende, con la vista di alcuni schizzi di Jefferson sulle ripartizioni dei terreni, come fu proprio quel politico-architetto a stabilire che l’ispirazione romana antica, impostando una griglia riferita ai meridiani e paralleli, sarebbe stata la soluzione più congeniale per suddividere sia le aree rurali che quelle urbane. Intervallata dagli splendidi scatti di Filippo Romano – una vera e propria mostra nella mostra  sugli edifici più rappresentativi del palladianesimo americano quali Monticello, dimora del Jefferson in pensione, il Campus Universitario di Charlottesville in Virginia – appaiono i progetti per il concorso per costruire la Casa Bianca, appurando che il desiderio di uno dei padri della Dichiarazione di Indipendenza era la trasposizione quasi identica del progetto della nostra Villa Capra detta La Rotonda. La mostra prosegue descrivendo attraverso i disegni originali gli altri edifici di Jefferson – come il Campidoglio, La Rotunda e la Bremo Plantation, fino addirittura ai modelli di Antonio Canova commissionate dallo stesso Jefferson per le statue presidenziali di George Washington. I curatori Guido Beltramini, Fulvio Lenzo e tutti i collaboratori hanno voluto dedicare questo parallelo alla memoria di Mario Valmarana, indimenticato professore a Charlottesville che dedicò un intera vita a creare ponti fra il palladiano veneto e la Virginia di Jefferson.  Tra i contributi multimediali in ogni stanza – audioguida scaricabile gratuitamente sullo smartphone – spicca l’interessantissimo video che riproduce un dialogo immaginario, quasi onirico, tra il busto del Palladio e Jefferson che definiva l’architetto veneto “The Bible”. Uno scambio di battute sulla natura delle “rivisitazioni” poco ortodosse, secondo un polemico Palladio,  da parte di Jefferson al quale viene rimproverato di non aver mai messo piede nella città berica e di aver modernizzato a suo piacimento il suo linguaggio architettonico. A sua discolpa lo statista americano, rivolgendosi con immenso e religioso rispetto verso il suo vate, conclude come le sue rielaborazioni del linguaggio palladiano non siano altro che la modernizzazione di quell’estemporaneo canone di bellezza classicista che a sua volta, colui che forse rimane il più grande architetto di sempre, aveva riadattato ai suoi tempi. 


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