De justitia: da riformare per Baldo dopo la condanna di Berlusconi
Venerdi 2 Agosto 2013 alle 08:50 | 0 commenti
Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamoÂ
Forse la sentenza che condanna Berlusconi non è un capolavoro giuridico tale da doverla studiare, se non fosse che presenta scopertamente i motivi teorici fondamentali sui quali si sostiene la pretesa politicizzazione della giustizia, denunciata da Francesco Gentile fin dal 1984*.
Il primo motivo e più palese è che essa è contro uno degli esponenti politici più in vista dell'Italia da circa 19 anni e che ha la colpa, questa sì vera, di aver, di fatto, impedito il disegno del Partito erede del Partito Comunista Italiano di assumere il potere, dopo che aveva sconfitto addirittura con le monetine l'odiato Bettino Craxi, colpevole di aver fatto fallire l'unione delle forze democristiane e quelle comuniste. La seconda ragione che è più importante della prima risiede nel fatto che il ruolo della magistratura è di concorrenza politico-istituzionale. Tende cioè ad affermare che la sede del potere Statale risiede nell'esercizio della giustizia e non nel sovrano Parlamento e in ultima istanza nei cittadini che decidono chi li debba governare, secondo il principio democratico che la sede politica è quella di equilibrio tra le parti-. Un politico può essere cacciato dal popolo, un magistrato praticamente mai e non paga mai per le sentenze errate. Un medico deve assicurarsi per gli eventuali errori, per il magistrato paga lo Stato e con ciò si è affermata la deresponsabilizzazione personale, il che ha valore solo e soltanto quando non vi sia palese dolo ovvero incapacità anche tecnica di applicare le leggi. La tecnica ben evidenziata è tesa ad ottenere dai cittadini una condotta desiderata mediante la minaccia delle misure coercitive. Non a caso in Italia il Procuratore della Repubblica, che ha per istituzione il compito dell'accusa, è considerato, ricordiamoci di Di Pietro, la vera sede dei giudizi. Un'accusa ottiene titoli sui giornali, un'assoluzione quasi mai. Urge una riforma della magistratura e con essa dei Codici, che non assolvono alla funzione di dare giustizia nel più breve tempo possibile. Basti ricordare i fatti di Genova che ancora aspettano "giustizia" o processi che terminano dopo 30 anni o ancora giudizi che si sperava di non emettere, caso Andreotti, per sopravvenuta morte dell'imputato, ecc. Una causa per questioncelle di condominio procede imperterrita per quattro anni minimo. Forse il caso Berlusconi aiuterà a porre in essere l'urgenza di una riforma dell'amministrazione della giustizia in Italia, ma le forse politiche hanno compreso che il loro stesso esistere dipende dai magistrati. Nessuno ricorda il perché il procuratore Di Pietro si sia dimesso e si dimise proprio quando a proposito della maxitangente di Gardini s'iniziò a parlare della quota ricevuta dal Partito Comunista. Sarà infine interessante verificare come finirà la vicenda del Monte dei Paschi.
Infine preme ricordare come la Giustizia sia cieca e non possa né debba assumere il ruolo di riequilibratore delle tensioni sociali e politiche, o peggio intervenire nel contesto dell'agone politico. Tremino tutti i politici anche quelli che congodono di certe sentenze, perché si teme che la nuova ed unica forza istituzionale divenga la magistratura.
*Cfr: F. Gentile, Equivoci e paradossi della giustizia politicizzata, in ID, Intelligenza politica e ragioni di stato, Milano, A. Giuffrè, 1984, pp.207-221.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.