Crollo del lavoro, Langella: si parla d'altro ma questo è il dramma
Domenica 7 Aprile 2013 alle 22:53 | 0 commenti
Giorgio Langella, Segretario regionale PdCI FdS  -  Nell’anno 2012 ci sono stati 1.027.462 licenziamenti con un incremento del 13,9% rispetto al 2011. Nell’ultimo trimestre del 2012 i licenziamenti sono stati 329.259 (+15,1% rispetto allo stesso periodo del 2011). I dati fanno parte delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Il risultato disastroso di una politica che ha, evidentemente, fatto niente per contrastare la progressiva perdita di lavoro nel nostro paese.
L’importante, per lorsignori, è stato cancellare di fatto l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, aumentare l’età pensionabile e tagliare i diritti di chi lavora. E così ci troviamo in una situazione drammatica, in un paese senza prospettive. Una situazione che dovrebbe essere affrontata con grande determinazione e la consapevolezza del fallimento della politica liberista trionfante in questi ultimi decenni. Anni nei quali, a iniziare dalla cancellazione della scala mobile, c’è stato un attacco violento da parte del capitalismo trionfante contro i diritti che erano stati conquistati con le lotte del movimento dei lavoratori. Un attacco che ha investito anche elementari principi costituzionali come il diritto di sciopero.
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Oggi, di fronte ai dati diffusi dal ministero retto (ancora) da Elsa Fornero, non si percepisce l’indignazione che dovrebbe esserci. Non c’è neppure la dovuta preoccupazione e attenzione. Poche righe in qualche notizia che viene travolta in breve tempo da quelli che, i padroni dell’informazione, vogliono farci credere siano i “veri problemi†del nostro paese (le “larghe inteseâ€, il discorso di Renzi nella trasmissione “Amici†di Maria de Filippi, l’ultima metafora di Bersani, cosa grida Grillo, le dichiarazioni di Ruby sul processo a Berlusconi …).
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È la rassegnazione (forse rabbiosa ma impotente), l’assenza di ideali e la sensazione di mancanza di futuro dovute anche a una lenta e progressiva “conquista culturale†della destra che ha trovato terreno fertile in una sedicente sinistra politica e sindacale che ha accettato qualsiasi compromesso e ogni sconfitta. Anche la più devastante. Un’egemonia culturale, quella del fronte liberista, che ha colpito la cultura stessa e il diritto di ogni cittadino al sapere e all’istruzione.
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Perché, se il problema del paese è la mancanza di lavoro, dobbiamo cercare  le cause non solo nella crisi ma soprattutto nell’assenza di investimenti adeguati nell’istruzione, nella formazione, nell’innovazione, nella cultura. Investimenti necessari a costruire prospettive di sviluppo che possano creare nuovo lavoro. A proposito, grazie alle decisioni dei governi liberisti, l’Italia spende solo l’1,1% del PIL in cultura e istruzione. Una percentuale ben al di sotto della media europea (2,2%), inferiore anche a quella greca (1,2%).
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Ma così, dove vogliamo andare? Si vuole, forse, trasformare il nostro paese in una nazione ininfluente dal punto di vista industriale e produttivo? Una nazione di ignorante manovalanza destinata a mendicare lavoro gestito da altri?
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L’Italia sta diventando un paese con sempre meno prospettive e, quindi, con lavoratori sempre più poveri, ricattabili e pronti ad accettare qualsiasi condizione. Non possiamo permetterlo.
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