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Coltura e cultura della vite nel Veneto di Galliano Rosset a Monticello Conte Otto: La Voce del Sileno, anno 2

Di Italo Francesco Baldo Mercoledi 14 Giugno 2017 alle 09:52 | 0 commenti

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Novità a Monticello Conte Otto. Giovedì 15 giugno Sala Civica Bressan a Cavazzale via Leonardo da Vinci, 37 alle ore 20,30 presentazione del nuovo volume di Galliano Rosset Coltura e cultura della vite nel Veneto. Ospitiamo il diciottesimo articolo de La Voce del Sileno, rivista on line che "intende coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la ricerca filosofica, culturale e in modo indipendente la propongono per un aperto e sereno confronto. La coltivazione della vite e la produzione del vino compaiono nella storia dell'umanità fin dalle epoche più remote. Noè, dubito dopo la fine del diluvio universale piantò una vigna e, raccolti i frutti, produsse il "nettare" che dà allegria, talora perfino troppa. Nelle mitologie indiana, egiziana e greca la coltivazione della vite e la produzione del gustoso liquore sono attribuiti alla divinità. Some in India, Osiride in Grecia e Dioniso in Grecia che ebbe in Sileno il suo più famoso seguace. Proprio nel mondo greco il simposio, che deriva da syn + pìnein, bere insieme, designava la riunione di amici, nella quale si beveva il vino.

Questo era sempre consumato sempre allungato con acqua, dato che il berlo in purezza era considerato "barbaro". Il tono della conversazione, il dialogo si riteneva si facesse migliore. Platone considera il simposio un momento importante e non a caso uno dei suoi più noti ed importanti dialoghi ha questo nome. Fin da allora il bere solitario non era positivo.

Aristotele nella Meteorologia parla dell'effetto del vino sui temperamenti melanconici e nel Libro V della Metafisica lo ricorda per spiegare la definizione di "uno". Non possiamo non ricordare quanto fu celebre presso i Romani il vino, ricordato negli scritti di molti autori latini: (Cicerone, Macrobio, Varrone, Diodoro Siculo, Virgilio, Orazio, Dionigi d'Alicarnasso, Tito Livio, Vitruvio, Tibullo, Ovidio, Plinio il Vecchio, Marziale, Silio Italico, Stazio. Plinio. Poeti come Orazio e Catullo nominano addirittura una qualità di vino molto apprezzata e anche costosa, il Falerno. A Roma non si amava annacquare il vino, lo ricordano Catullo e Petronio nel Satyricon.

Connotazione diversa ebbe la vite e il vino nel mondo cristiano. Cristo stesso si paragona alla vite e considera i suoi fedeli i tralci, come ben raffigurato in chiese e cattedrali. Il vino poi è nel sacrificio eucaristico il sangue stesso del Salvatore, come fu ben definito dal dogma della transustanziazione durante il Concilio di Trento. La chiesa lo ebbe in onore e volle che fosse per la celebrazione sempre di "sola uva", si aggiunge qualche goccia d'acqua a simboleggiare la presenza dei fedeli.

Nei cosiddetti secoli bui, quel Medioevo così disprezzato solo perché non conosciuto, la vite e il vino ebbero sempre importanza. Dante lo ricorda insieme al poeta Stazio nel canto XXV del Purgatorio (vv.76-78). Boccaccio considera il vino come ciò che esalta i sensi. Erasmo da Rotterdam ricorda il vino nell'Elogio della follia e commentando negli Adagia la celebre affermazione di Ateneo nei Dipnosofisti: in vino veritas distingue una ubriachezza sfrenata, che generalmente falsifica la corretta visione della realtà, da una moderata ebbrezza che «elimina la simulazione e l'ipocrisia».

Rintracciare tutti coloro che parlano di vite e di vino costituirebbe un enorme volume, Kant, diventato professore universitario durante le cene a casa sua, in Koenigsberg, serviva il vino, simbolo anche di agiatezza e Marx per non smentirsi era interessato al vino come "merce", dato che tutto per lui era solo economia.

Il vicentino Giacomo Zanella ricorda il vino vermiglio nel sonetto 32 dell'Astichello e nella poesia dedicata a Teresa Barrera Fogazzaro, la madre di Antonio, dove il bere un bicchier di vino è simbolo di ospitalità. De Amicis dedico un piccolo racconto al vino e così via fino ad oggi quando Jack Keruac ricorda quando è bello bere vino, scrivendo haiku (componimento poetico di origine giapponese, di tre versi) e Pino Petruzzelli interpretò nel 2012 ad Asti7Teatro: Io sono il mio lavoro - Storie di uomini e di vini.

Tanto ci sarebbe da riportare, ma va anche ricordato come sia nato un sapere scientifico intorno alla vite e al vino, nacque l'ampelologia, quel complesso di scienze che in prospettiva interdisciplinare si occupano della coltivazione della vite e di ciò che ad essa fa riferimento. Infine anche il modo di produrre il vino ebbe la sua particolare scienza: l'enologia che oggi ha uno sviluppo enorme e ci dona vini di alta qualità.

In ogni zona dove fu possibile coltivare la vite, perfino in epoca romana a Londra e nel settecento a Postdam, Germania, nel giardino del Palazzo di Sanssouci, voluto da Federico II Hohenzollern, si tentò e si tenta di coltivare la vite. Vi sono zone più vocate alla viticultura, molte sono storiche altre si sono sviluppate, come la Borgogna o la zona del Reno in tempi più recenti, ma sempre e comunque l'uomo ha cercato di coltivare la vite non a scopo ornamentale, ma per ricavare quella bevanda che rende i brindisi allegri con il vino spumeggiante che coniuga gioia e amore, come musicò Giuseppe Verdi ne La traviata.

Tra le tante regioni dove si è coltivato e si coltiva con amore la vite e si producono ottimi vini vi è certo il Veneto e da tempi antichissimi con varietà e soddisfazione dei consumatori. L'elenco è lunghissimo e non basterebbe un anno per assaggiarli tutti; tra rossi, bianchi, rosati, passiti, spumantizzati una fiera per il palato. In ogni provincia veneta vi sono i vini tipici, dal oggi celebratissimo prosecco, all'amarone che piace perfino ai papi al Lugana che i longobardi portarono nelle marche, dove divenne il verdicchio, fino al povero clinton che i contadini tenevano per sé, dovendo dare il migliore "al paron" secondo i contratti di affittanza e mezzadria che guardavano più alla quantità che non alla qualità. Infine da ricordare la "graspia" padovana, vinello ricavato da una seconda torchiatura delle uve, vino asprigno e buono durante la mietitura del grano per calmare la sete.

Ma non occorre tracciare la storia della coltivazione della vite, del vino nel Veneto, vi ha provveduto con la solita mano felice Galliano Rosset che proseguendo il ciclo dedicato a cibi e bevande che si sono affermati nei secoli nelle terre venete. Il merito principale del nuovo volume, che costituirà un prezioso riferimento per gli studiosi e le loro biblioteche, Coltura e culture della vita nel Veneto pubblicazione a cura della Pro Loco di Monticello Conte Otto con il concorso del Comune e della Regione Veneto coordinamento di Nico Veladiano ed edita dall'Editrice Veneta di Vicenza, a cura del citato G. Rosset è quello di informare sulla storia e le grandi tradizioni venete legate alla vite e al vino. Un duplice scopo ha questo volume, da un lato il ricordo, perché senza ricordi non si vive e non si può nemmeno bene costruire il futuro, dall'altro ci invita a considerare che anche nelle nuove tecniche di coltivazione mai si deve disperdere quel patrimonio, il vero valore aggiunto, che è l'uomo nella produzione agricola e non solo. Un buon vino, celebre il Friularo di Breganze da essere decantato addirittura da Ruzzante e da Carlo Goldoni, accompagna la vita dell'uomo, lo fa meditare e allegra la vita e tiene compagnia, purché lo si rispetti sia nella produzione sia nella commercializzazione e sia nell'uso, che mai deve essere smodato, perché in vino veritas, ma la verità è equilibrio e armonia quindi bere bene anche perché la vita è troppo breve per bere...male.

Leggi tutti gli articoli su: Giacomo Zanella, La voce del Sileno

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