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Capolavori restituiti: in margine alla attuale mostra alle Scuderia del Quirinale nel maggio 1818 l'orazione del vicentino Carlo Bologna

Di Italo Francesco Baldo Domenica 15 Gennaio 2017 alle 21:56 | 0 commenti

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Ospitiamo il decimo articolo de La Voce del Sileno, rivista on line che "intende coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la ricerca filosofica, culturale e in modo indipendente la propongono per un aperto e sereno confronto".

Grande successo sta riscuotendo la mostra alle Scuderia di palazzo del Quirinale a Roma che propone la conoscenza e la visione di opere d'arte che furono trafugate - oggi si dice diplomaticamente "prelevate" - dal 1796 al 1814 dalla Francia rivoluzionaria prima (Campagna d'Italia) e poi dal Consolato e Impero di Napoleone Bonaparte nelle città, nei musei dei vari Stati italiani occupati all' insegna di "W la libertè", che trovò molti fautori, i prototipi degli intellettuali che sentono tintinnare il sant'oro, soliti ad essere proni al vincitore e nemici tra molti popolani, si ricordino le Pasque Veronesi. Nel periodo napoleonico non solo l'Italia, ma tutti gli Stati vinti (Regno di Sardegna, Repubblica di Genova, di Venezia, i Ducati, e il Granducato di Toscana, gli Stati Pontifici, Paesi Bassi, Prussia, Austria, Spagna, ecc.) videro la spoliazione di opere d'arte portate a Parigi per formare il grande Museo in onore dell'Imperatore.

Si distinse nell'opera e in modo infaticabile il direttore generale dei Musei francesi Dominique Vivant Denon, il quale con i suoi fidi inoltrò nella capitale francese molte opere e molte altre, le minori delle quali in genere, furono anche vendute e trafugate dai soliti maneggioni, che accompagnano sempre simili situazioni.

Roma, come Venezia, Vicenza come Praglia perdettero i loro gioielli che non erano solo "oro, argento" e opere d'arte, ma anche codici, incunaboli, manoscritti, documenti d'archivio ecc.
Mai si è potuto fare un vero e proprio catalogo di tutto quello che fu rubato, perché non vi erano solo i quadri, le statue, ma anche oggetti preziosi, in particolare l'argenteria di chiese, monasteri e conventi. Si ricordi al proposito il Gioiello di Vicenza, attribuito ad Andrea Palladio, ma anche la doratura, che fu raschiata, del Leone di S.Marco oggi in Piazza dei Signori, ecc. L'elenco potrebbe essere molto lungo, ma solo per ciò che era ben noto si poté fare un elenco. Inoltre molte opere, come le Nozze di Cana del Veronese non furono, dopo gli avvenimenti napoleonici, restituite, ma fanno bella mostra di loro al Museo del Louvre; il pretesto fu che la tela si sarebbe rovinata se fosse stata arrotolata per il trasporto.
Non era quello francese un costume nuovo, le spoliazioni che i vincitori affliggevano ai nemici erano considerate quasi un diritto sia per i comandanti che per la truppa, che infieriva anche spesso sui vinti ed in particolare con le violenze alle donne. Famose furono quelle dei Romani del Tempio di Salomone, ma anche quelle dei Veneziani a Bisanzio mentre quella dei Lanzichenecchi a Roma nel 1527 è rimasta quasi proverbiale.
Non sempre le spoliazioni ebbero la felice sorte di vender ritornare "a casa" ciò che era stato trafugato. Certo dopo il Congresso di Vienna (1814-1815) molte delle opere note, furono restituite dalla Francia, che non si considerava vinta, perché "vinto" era Stato Napoleone e il suo Impero, non la Francia dei Borbone: artifici diplomatici.
Gli Stati italiani riebbero molte opere, 500 delle quali oggi sono in mostra alle Scuderie del Quirinale, ma ciò non rappresenta che la parte più nota. Le altre spoliazioni, come quella del Gioiello di Vicenza e soprattutto quelle delle Biblioteche e dei preziosi volumi, ad esempio della Biblioteca Vaticana e dell'Archivio, tra cui parte degli Atti del Processo a Galileo Galilei, andarono perdute o non furono restituite.

Ma anche la Biblioteca dell'Abbazia di Praglia nel Padovano fu saccheggiata e i suoi volumi ora sono a Parigi. Non fu fatta la richiesta per il recupero di questi preziosi documenti. Antonio Canova, che si occupò delle restituzioni su incarico di Pio VII, volle che fossero immortalate le vicende del papa in una serie di affreschi, quindici lunette lungo la Galleria di sculture dedicate al papa nei Musei Vaticani, tra cui una del giovane Francesco Hayez.
Quasi tutte le più importanti opere d'arte. Ritornarono dall'esilio francese, altre, astutamente acquistate per poco, come parte della collezione del principe Borghese cognato di Napoleone, rimasero in Francia.
Il grande scultore di Possagno fece il possibile per lo Stato Pontificio e i suoi Musei romani, ma molto rimase: a lui va l'onore dell'impegno compiuto.
Di ciò fece memoria Carlo Bologna, il vicentino Prefetto del Seminario di Vicenza, un sacerdote, docente di belle lettere, che vi formò al valore della classicità schiere di sacerdoti che amavano la cultura e pure il latino, come sarà per il futuro Santo Antonio Farina e il poeta Giacomo Zanella, e sapevano, nel contempo, operare nella carità.
Carlo Bologna tenne a Vicenza un'orazione nel maggio 1818, poi pubblicata nello stesso anno a Padova dalla Tipografia del locale Seminario, nella quale si ricordavano le spoliazioni e la loro restituzione: De monumentis artium et Literarum nuper e Gallia in Italia reportatis.

L'orazione, secondo l'uso dell'epoca, fu dedicata al Vescovo di Vicenza Giuseppe Maria Peruzzi. L'orazione dopo aver ricordato esempi di spoliazione, quella di Scipione di Cartagine ma anche quella veneziana di Costantinopoli, ricorda quante opere furono trafugate dai Francesi a Bologna, Parma, Cremona e così via in tante città: Piacenza, Mantova, Cento, Pisa, Napoli, Genova Albano, ecc. e opere famose del Perugini, di Raffaello, di Tiziano, Tintoretto, Bassano, Mantegna, Leonardo, tra i pittori, ma anche statue antiche come la Venere de'Medici e statue di Antinoo, di Ercole, e tante altre tra cui alcune opera del Michelangelo. Accanto ricorda Carlo Bologna la spoliazione delle biblioteche e dei loro tesori antichi.

Si ricordano anche le spoliazioni nei vari Stati europei, ma come leciti gli acquisti fatti dal re Augusto di Polonia o quello da parte degli Inglesi dei marmi del Partenone. Ciò che è negativo è la spoliazione, l'appropriarsi dei beni di un popolo e qui l'autore dell'Orazione non fa distinzione di regioni o Stati, ma parla degli italiani e della loro grande cultura. Ricorda anche come la Cena del papa San Gregorio Magno a Monte Berico, trafugata dal generale Napoleone durante la Campagna d'Italia nel 1797, ritornò nella sua città. Non mancano le lodi ad Antonio Canova e alla sua opera per la restituzione die capolavori.
Un'orazione interessante che ci fa comprendere come non si debba mai spogliare un popolo dei suoi capolavori siano essi d'arte o di libro, perché il bene della libertà posa coniugarsi sempre con quello della pace.

 

Coordinatore de "La voce del Sileno" Italo Francesco Baldo
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