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Berlinguer: il mito del "politico"

Di Italo Francesco Baldo Sabato 26 Luglio 2014 alle 16:30 | 0 commenti

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Una delle cose peggiori che può capitare ad un uomo politico sia vivo che morto è quello di diventare un mito. Gli uomini, siano essi sudditi o cittadini che si preoccupano della vita associata, della sua organizzazione e amministrazione  per essere buoni  e giusti amministratori debbono avere chiara la coscienza che il loro operato è in  relazione alle situazioni contingenti operare per il bene civile.

Questo è originato, almeno nello Stato Italiano dalla Costituzione varata nel 1948 e successivi modifiche e dalle leggi del Parlamento che il governo è tenuto a rendere operative. Una macchina complessa; chi  se ne preoccupa deve avere costante l’attenzione alla realtà. Accanto a coloro che amministrano vi sono poi gli uomini politici che fanno di prospettive politiche, spesso condite da ideologie che propongono soluzioni diverse da quelli in atto. In Italia il dibattito politico fin dai tempi della resistenza è stato soprattutto questo. Io vorrei e combatto per uno Stato di questo tipo oppure di quest’altro, poco rispetto per la Costituzione, che è stata trasformata in costituzione materiale, ossia cambiata dalla prassi e non dalla lettera.  Tra gli esponenti più in vista negli anni Settanta del secolo scorso di questa visione ideologica dello Stato vi fu Enrico Berlinguer, formatosi alla scuola politica di Togliatti,  conosciuto a Salerno, dopo un militanza a Sassari, dove fu accusato anche di aizzare la folla  nel 1944 all’assalto dei forni. Togliatti lo volle con lui nel 1949 fu Segretario della Federazione giovanile comunista e dal 1957 segretario della Federazione mondiale della gioventù democratica, una associazione internazionale di giovani marxisti. Non si allontanò certamente dall’impostazione togliattiana filosovietica e filo stalinista . In occasione della morte di Stalin, idolatrato e mitizzato anche dal comunismo italiano (a da venì baffone), Berlinguer pronunciò un discorso di elogio. Fu favorevole all’invasione dell’Ungheria nel 1956 e alla repressione in Polonia e ad ogni mossa dell’’Unione sovietica, non condannado con la forza dovuta i fatti di Cecoslovacchia. Fu d’accordo nel cacciare gli esponenti del Manifesto(Rossanda Pintor Menapace ecc.) dal PCI nel 1969. Non amò mai il 1968, che vide come un ostacolo al raggiungimento del potere, non ebbe mai parole troppo dure nei confronti del brigatismo, vi erano coinvolti forse anche esponenti del comunismo italiano? Con un accordo con la decadente Democrazia Cristiana e il suo esponente Aldo Moro, mentore Giulio Andreotti, si avvicinò a posizioni meno intransigenti ideologicamente. Erano gli anni dell’inizio del crollo dell’Unione Sovietica che si era impelagata in Afghanistan. Promosse il compromesso storico, visto come la parziale realizzazione contingente della via italiana al socialismo di A. Gramsci e suscitò la questione morale nel mentre si associava  alla Democrazia Cristiana che era proprio accusata dal suo partito di immoralità politica. Non ebbe il successo sperato, anche  perché la morte lo colse nel mentre il processo impostato sembrava avviarsi a positiva soluzione. Quattro giorni dopo la rivista Rinascita pubblicò un testo preparato da Berlinguer  come parte conclusiva della prefazione ai Discorsi Parlamentari di Palmiro Togliatti. Lo scritto apparve il 16 giugno 1984 con il titolo Parlamento governo e partiti,. In queste righe il Segretario  esaltava la figura di Togliatti nel Parlamento italiano, perché egli difendeva la funzione del Parlamento e denunciava, come Togliatti una possibile questione morale e una deriva autoritaria. Certo che Togliatti che vide Stalin come il massimo della politica, non poteva né allora e tantomeno oggi essere considerato un campione della democrazia, almeno nel significato che la libertà dà a questo termine. Berlinguer rifacendosi alle origini del Partito Comunista, ossia a Togliatti più che a Gramsci, ribadiva la propria posizione politica e la prospettiva politica del comunismo, proprio nel momento in cui questo si avviava alla ingloriosa fine. La morte tragica e improvvisa del Segretario a Padova lo  ha in qualche modo mitizzato, ma il mito in politica non è mai una buona prospettiva, perché, come insegna Tommaso Moro, si debbono avere grandi ideali, addirittura utopici, ma anche la consapevolezza dell’amministrazione, cosa che il cancelliere inglese ebbe, ma non crediamo Berlinguer,  in lui prevalse sempre e comunque la visione del comunismo che certamente non era e non è una visione del valore dell’uomo, ma solo di ciò che egli mangia.

*Presidente di Impegno per Vicenza

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