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Abbattere i muri per uscire dall'oscurità, per aprirsi a un nuovo progetto esistenziale

Di Citizen Writers Domenica 22 Giugno 2014 alle 21:01 | 0 commenti

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Riceviamo da Agata Keran e pubblichiamo - “I have a dream”, anche se a volte sembra difficile continuare a sognare. Il carisma indomabile del malaffare, l’imbruttimento dovuto all’impoverimento spirituale, la dannata consuetudine di pensare (anticipatamente e ad ogni costo) male gli uni degli altri, rende arduo qualsiasi sforzo di allentare l’arida contrapposizione tra la cultura maggioritaria e i suoi satelliti più irrequieti, cioè quei gruppi di persone che hanno sviluppato il proprio piano di sopravvivenza - e di resistenza - basandosi su un’economia residuale che non di rado sconfina nell’illiceità.

È facilissimo giudicare. Negativamente. Il famoso leitmotiv “prima di sparare, pensa”, in questo caso risulta persino sconveniente. Con le parole si mira e si colpisce a morte, senza sporcarsi con la polvere da sparo, senza sentire il rimbalzo violento del proprio fucile. La massa dei consumatori di notizie giornaliere low cost non aspetta altro che trovarsi di fronte a un caso eclatante su cui vomitare la propria frustrazione, la propria rabbia sociale. Del resto, al grande giornalismo di cronaca locale non si addice alcun progetto di risonanza educativa. Non è di tendenza. Puzza troppo da naftalina.

Mentre la città palladiana celebra la bella trovata pubblicitaria della “Ultima spiaggia”, qualcuno forse perderà definitivamente il proprio amaro lido. E con questo, la città non risolverà i suoi problemi. Anzi.

Non giustifico alcunché di torbido. Tento di ragionare, desidero capire perché e come succedono certe cose che mi sembrano - logicamente - inaccettabili. Non è questione di mero arbitrio, bensì di responsabilità sociale. Penetrando quindi al di là della superficie, constato che le radici storiche di alcune pratiche negative e/o delinquenziali che coinvolgono le nostre periferie vanno ricercate in un tempo che non ha saputo dare giusto valore al dialogo e alla reciprocità, da ambedue le parti. In un tempo che ha negato i diritti e creato vertiginose disparità, di grande impatto anche antropologico. Disseminando analfabetismo, reticenza e anomia, che ostacolano tuttora in modo esponenziale qualsiasi forma positiva di interazione.  

Anche per questo motivo, credo fermamente nella necessità di attivare un nuovo patto d’inclusione, davvero trasversale, in grado di cancellare le antiche idiosincrasie assieme alle forme cavernose della gestione economica di una sopravvivenza perennemente ad ostacoli.

E sono consapevole che senza una intelligente e responsabile collaborazione dei media locali questo sogno continuerà a sciogliersi come neve al sole. Occorre veramente poco per cambiare verso: un metodo comunicativo leggermente decantato, con un pizzico di sano garantismo, valido sempre e per tutti.

(nella foto il campo nomadi di via Nicolosi a Vicenza)

Leggi tutti gli articoli su: Via Nicolosi, Agata Keran

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