8 settembre la chiesa ricorda la Natività di Maria: Tota pulchra es amica mea, l'omelia della bellezza. La Voce del Sileno, anno 3
Sabato 8 Settembre 2018 alle 08:52 | 0 commenti
Oggi 8 settembre la chiesa ricorda la Natività di Maria. Celebrata dalla liturgia, da preghiere, da pellegrinaggi in santuari, come quello di Vicenza - Monte Berico. La festività , un tempo di precetto, diede l'occasione ad importanti pensatori che per esaltare la figura della Madre di Dio e contemporaneamente proporre una riflessione. Importante fu la predica del vescovo di Bressanone, Niccolò Cusano, che è anche uno dei maggiori esponenti dell'Umanesimo, pronunciata nella cattedrale di Bressanone (BZ) l'8 settembre del 1456; fu stesa come era quasi sempre uso in latino, ma, come fu probabile, ad essa assistette anche il popolo, oltre al clero, e perciò fu pronunciata anche in volgare, cioè in tedesco.
L'omelia del vescovo Cusano dedicata alla Madre di Dio è imperniata sull'appellativo che viene ancor oggi dato alla Madonna, ossia: tota pulchra. Maria invita l'uomo di ogni tempo a riflettere sul grande valore della bellezza, che si manifesta in ogni realtà dell'uomo sia che egli pensi o agisca. La bellezza è l'armonia e lo splendore che ogni realtà porta in sé perché creatura. Riflettere sulla bellezza è andare verso la bellezza stessa, coniugando ciò che è vero, buono e giusto anche nella vita operosa, nella liturgia e soprattutto nella preghiera, quel servizio divino interiore senza il quale non vi è il primo grande "rito", ossia l'accettazione di Dio e la sua Incarnazione in Gesù Cristo, Salvatore.
Propongo alcuni passi dalla prima edizione in italiano da me curata e tradotta da Maria Luisa Gambato (Vicenza, Editrice Veneta, 2012) della predica di N. Cusano, come tributo a Colei che assiste e prega per lui: l'uomo.
SERMO DE PULCHRITUDINE
Tota pulchra es, amica mea
Codice Vaticano (V2) 167 vb
OMELIA SULLA BELLEZZA
Tutta bella tu sei, amica mia, e in te non c'è macchia (Cantico dei Cantici, IIII, 7)
Poiché celebriamo la festa della natività della gloriosa Vergine,[1] e cantiamo le parole del tema liturgico, ci converrà parlare della bellezza. Per primo ci sovviene il detto di Dionigi,[2] là dove tratta della bellezza: è da notare che il bene è chiamato kalòs ("bello"), il bello kà llos ("bellezza"), quasi a dire che bene e bello sono nozioni prossime. Ma il greco kalò ("chiamo") in latino si dice voco; infatti il bene chiama e attira a sé, e così anche il bello. Inoltre, ciò che è bello è detto anche formosum da forma ("bellezza"), e speciosum da species ("bell'aspetto"), e decorum da decus ("dignità "): perché ciò che è degno è anche amabile e bello.
E se vi poniamo attenzione, allora grazie ai nostri sensi più spirituali, per mezzo dei quali ci poniamo in caccia del sapere, giungiamo a cogliere il bello per una via sua propria. Diciamo infatti che un colore o una figura hanno bellezza, e similmente una voce, un canto, o un discorso; è così che la vista e l'udito in qualche modo colgono la bellezza. Non diciamo bello un odore, né un sapore, né ciò che si percepisce al tatto, perché quei sensi non sono abbastanza vicini allo spirito razionale; difatti, sono puramente brutali, ossia animali. Nell'uomo tutti i sensi in quanto uniti all'intelletto sono più nobili che negli esseri bruti: e una forza più nobile nobilita ciò che le è unito, così come la luce del sole illumina l'aria. Ma i sensi più sottili posseggono una più stretta unione con l'intelletto.
Perciò la vista è attirata dalla bella forma e dal colore, e così l'udito dalla bella armonia dei suoni: e questo è vero nell'uomo, poiché la ragione, che trae diletto dalle proporzioni, si riverbera in quei sensi che le sono prossimi. E dunque alla ragione sono gradite le cose bene ordinate e proporzionate, cioè là dove nella pluralità risplende l'unità della proporzione ovvero dell'armonia.
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Tutte le cose, infatti, appetiscono il bene che è anche bello, e ad esso si volge qualsiasi cosa secondo la propria natura, in virtù dell'essenza, o del principio vitale, o dell'intelletto. La natura intellettuale, poiché essa partecipa intellettualmente del bene e del bello, in quanto questa è la sua propria forma, non può alimentarsi e vivere se non immerso nel fluire del bene e del bello. Dunque, nel bene e nel bello, poiché lo contempla e lo degusta intellettualmente, sta la sua vita.
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Il nostro intento deve essere l'ascesa dalla bellezza delle cose sensibili alla bellezza del nostro spirito, che permea tutte le bellezze sensibili, e inoltre che a partire dalla nostra bellezza ammiriamo della bellezza la fonte, a cui questa nostra bellezza brama assimilarsi, e che abbandoniamo tutte le brutture che sono i peccati: - difatti, il nostro spirito testimonia che sono brutture, e appunto tale testimonio è detto coscienza - ; e che aspiriamo con un amore incessante a conformarci con la nostra bellezza alla bellezza della fonte. Infatti la viva bellezza intellettuale, contemplando o comprendendo l'assoluta bellezza, ad essa è attratta da un indicibile desiderio, e quanto arde il desiderio, tanto più vicino si accosta all'esempio e sempre più ad esso si assimila. Infatti il desiderio, ossia l'amore, plasma continuamente l'amante in conformità all'amato, e allora giunge questa ascesa per attrazione della bellezza ossia della gloria di Dio. Perché non vi è gloria se non nella regale bellezza. Essere nella gloria significa essere nella visione della bellezza ed essere uniti ad essa nell'amore. Ed ora, con ciò si chiuda il discorso sulla bellezza.
Tuttavia il nostro tema "Tutta bella tu sei" ecc. può essere spiegato in relazione all'anima, la quale nella pienezza della sua potenza, nella sua totalità , e completato il cammino di perfezione, perviene dalla valle della miseria mondata di ogni macchia, e lo sposo, che è assoluta bellezza, la accoglie con una bellissima parola, chiamandola cioè amica. Infatti l'anima, che tanto ama la bellezza da consegnarsi alla bellezza interamente, così che in essa non si trovi macchia alcuna, tal quale un'amica perviene all'abbraccio della bellezza. E dunque quelle cinque parole (Tota pulchra es amica mea) si possono spiegare quasi come parole del re della bellezza, che non vuole se non l'anima tutta intera, e bella in ogni sua parte, in tutto il suo essere, e languente d'amore, come elettissima amica di sé soltanto.
In secondo luogo, le parole si applicano alla gloriosa Vergine Maria, come colei che sopra tutti è totalmente e perfettissimamente bella in ogni possibile modo della bellezza, Lei che sin dalla sua nascita diede se stessa in sposa alla bellezza assoluta; che come un'amica, al di sopra di tutti fu attratta verso la somma bellezza; che, avendo in sé la bellezza di tutte le virtù, si accosta al trono del re della bellezza più vicino di tutte le figlie di Gerusalemme - quelle che nella distribuzione delle sorti occupano in cerchio le sedi di Gerusalemme - in quanto madre del vero Salomone, re della bellezza dell'eterna pace. A Lei rivolgiamoci mossi dalla devozione, perché, conscia della nostra debolezza, preghi per noi il Figlio suo Gesù, che sia sempre benedetto.
La Voce del Sileno, anno3
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[1] L'8 settembre; cfr. nota 9. Riecheggia questa predica anche la Lettera pastorale alla diocesi di Milano di C. Maria Martini pubblicata l'8 settembre 1999, Quale bellezza salverà il mondo?: "Sento che ancora oggi la domanda su questa bellezza ci stimola fortemente: ‘Quale bellezza salverà il mondo?'. Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo: bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio".
[2] Si tratta dello Pseudo-Dionigi e il riferimento è a De Div. nom., IV, 4, e inoltre 7, 10, utilizzato da Cusano anche in La caccia della sapienza, op. cit., p. 47: "come spiega Dionigi, dove scrive sul bello. La bellezza che è tutto ciò che può essere, cioè quello che non è aumentabile né diminuibile, essendo insieme massima e minima, è l'atto del poter essere fatto di ogni cosa bella, che fa tute le cose belle, che le conforma e le converte a sé per quanto esse ne sono capaci. Lo stesso si può dire del bene che è tutto ciò che può essere, del vero, del perfetto e di tutto ciò che lodiamo nelle creature. esse, quando sono ciò che possono essere, vediamo che sono in Dio, Iddio eterno, e così lodiamo Dio come causa efficiente, formale e finale di tutto".
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