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4 novembre 1917: Rosa, il marito panettiere di guerra, i figli di allora e i "cerimonianti" di ogni 4 novembre

Di Italo Francesco Baldo Sabato 4 Novembre 2017 alle 19:49 | 0 commenti

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Ogni anno, puntualmente il 4 novembre è giornata dedicata alla commemorazione della vittoria dello Stato Italiano contro le forze dell'Impero Austro-Ungarico e dei suoi alleati, un tempo, dal 1882, vicini politicamente e diplomaticamente all'Italia (Triplice Alleanza). Tra cerimonie e spesso troppe parole da cent'anni si festeggia. Allora, in un piccolo paese mamma Rosa nel tinello con i suoi quattro figli, il più grande aveva solo 11 anni, e con quello che doveva ancora nascere... piangeva e guardava quel giallo pezzo di carta che il postino le aveva consegnato pochi giorni. Non aveva più mangiato da quel giorno e ad ogni istante abbracciava i suoi piccoli, vera immagine di colui che aveva perduto.

Un pezzo di carta con poche righe annunciava che il suo amato non c'era più, sacrificio alla patria, ma doveva essere proprio tale, a pochi giorni dalla fine. Implacabile la guerra, non conosce se non dopo, la sua fine. Così Rosa intravvedeva il suo futuro e quei piccoli da educare, da rendere consapevoli che il padre, che avevano rivisto solo un mese prima, non sarebbe stato più con loro. Poi quel piccolo che doveva nascere di lì a poco scalciava. Nulla avrebbe avuto di suo padre se non un paio di fotografie.
Il 10 maggio del 1915 il suo uomo, ricordava ai figli, era stato richiamato e, partito, lei rimase in lacrime. Temeva. Ma col tempo si era tranquillizzata, era nelle retrovie a fare il pane, zona di minor pericolo, zona senza rischio. Quando tornava era festa per tutti. I bambini che conoscevano l'innata passione per il gioco del padre, gli facevano corona; lei, Rosa in disparte, attendeva la notte per altri giochi, quelli che l'avevano deliziata e ai quali si era concessa solo dopo molto tempo e solo con una piccola fede al dito. Quale felicità. Pochi giorni dopo, la partenza, ma si chetava e attendeva le nuove notti. Chissà quando, ma ci sarebbero state. Intanto il lavoro non mancava sui campi che orgoglioso il marito aveva reso belli con dura fatica. In stalla belle pezzate assicuravano latte e denaro. Non mancava pollame e perfino il grugnito di un grasso maiale annunciava che si sarebbe fatta festa e soprattutto ben mangiato.
Tutto in attesa, sarebbe finita la guerra, dicevano, all'inizio presto, ma i mesi correvano e la pace, tanto agognata non arrivava. Arrivava il suo sposo e allora per un po' tutto era bello, ma dopo lei piangeva; pianse anche quando comprese che sarebbe nato un altro figlio, ma lui non era con lei a far festa, come aveva fatto per gli altri.
Giunsero notizie allarmanti, gli italiani perdevano, gli italiani erano sconfitti, puniti dall'antico alleato. Si sparse la paura, vedendo soldati sbandati che cercavano da mangiare e seduti vicino alla stalla s'ingozzavano dei residui delle barbabietole e tracannavano l'aspra "graspia", il vinello fatto più di acqua che non di succo d'uva.
Temette Rosa, ma si riebbe, una cartolina annunciava che per lui tutto era senza problemi.
Passarono i giorni, gli italiani si riebbero e riorganizzati e con l'aiuto di inglesi e americani, riuscirono a rinsaldare il fronte e nei mesi del 1918 addirittura a passare il Piave e a dirigersi verso L'Austria.
Venne l'ordine di trasferimento per i panettieri, dovevano essere più vicini al fronte. Mentre il convoglio raggiungeva la sede, una bomba austriaca cadde proprio sul camion del marito di Rosa.
Sul tavolo quel pezzo di carta gialla, lo annunciava e lei piangeva. S'udivano canti e grida di gioia, là in piazza e lei li ascoltava. Improvvisamente prese quel pezzo di carta e velocemente lo gettò sul fuoco. Non ci doveva essere nemmeno una traccia dell'annuncio. In fretta mangiò lei con i figli, li vestìie con loro si recò in piazza, il sacrificio di suo marito aveva contribuito all'unità d'Italia e subito insegnò ai suoi figli che la patria è unica e nessuno, come era accaduto nei secoli, doveva dividerla in avvenire.
Questo suo messaggio e null'altro trasmise ai figli. Loro, divenuti grandi ricordavano sempre il valore della patria e dell'unità, ma mai si soffermavano sugli eventi bellici. Non interessavano. Quando nacque l'ultimo figlio, era una figlia, non si volle nemmeno ricordare come per la precedente, Guerina, la guerra. Fu chiamata Giovanna in onore di una zia e del padre vide solo le due fotografie.
La guerra, diceva Rosa ai figli, bisogna non farla, bisogna dimenticarla, perché in pace si vive meglio. Un piccolo insegnamento che val di più della retorica che sprecano i politici, per i quali una commemorazione è spesso solo l'occasione per dire: io c'ero.

Qui la photo gallery delle celebrazioni odierne a Vicenza

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